Breslavia. Di gnomi e mercati dei fiori notturni con Giusi Arimatea

Breslavia, ne avete mai sentito parlare? Io no. L’ho scoperta grazie a Giusi Arimatea, giornalista e amica che, nel suo girovagare per il mondo, di tanto in tanto pensa a me e lascia al mattino un dono inaspettato tra i nuovi messaggi su messenger. “Un pensierino per viaggimperfetti”, mi scrive. E io già pregusto il racconto che seguirà perché Giusi riesce a portarmi lontano solo con le parole…
Breslavia, in polacco Wrocław, è una bellissima città della Polonia, capitale europea della cultura nel 2016 e patria di un gran numero di gnomi in metallo sparsi per le strade del centro e in periferia, simbolo di libertà e passata ribellione.
Dodici isole collegate fra loro da centododici ponti e il fiume Oder ad attraversarla. Così che Breslavia è stata soprannominata la Venezia polacca. E di Venezia possiede l’eleganza, la vitalità, quei tratti decadenti che ne amplificano il fascino.
Il cuore di Breslavia, tra le imponenti architetture gotiche, rinascimentali e barocche, batte giorno e notte.
Accanto alla Piazza del Mercato c’è la Piazza del Sale che ospita un mercato dei fiori aperto anche di notte, insieme ai bar, ai pub, alle birrerie, molti dei quali in stile bohémien, popolati da gente di ogni età. Inevitabile diventarne un frequentatore assiduo.
Così che un viaggio di lavoro, organizzato per assistere a due spettacoli teatrali e visitare il Grotowski Institute, si è trasformato in una breve e divertente vacanza, all’insegna di quella mondanità cui generalmente ti sottrai e del buon cibo.
Tipica specialità polacca i pierogi, deliziosi panzerotti a forma di mezzaluna con ripieni diversi. Economici come tutta la ristorazione e più in generale la vita a Breslavia.
Scriverne è un po’ come scorrerne mentalmente i fotogrammi. Alcuni di essi ti richiamano la storia di tutta l’Europa centro-orientale, altri l’Occidente dei grattacieli a vetri, altri ancora i casermoni anni Settanta di certa Berlino .
Nell’insieme, Breslavia è una città senz’altro da scoprire, da visitare, o meglio “da vivere” visitandola e scoprendola.
Poche ore appena e la senti già tua.

MArRC a Reggio Calabria. Con i Bronzi tanto di più

Il palazzo che lo ospita, Palazzo Piacentini, dal nome dell’architetto che, ad inizio Novecento lo ideò pensando a una struttura moderna ispirata ai musei europei dell’epoca, è stato rimesso a nuovo appena qualche anno fa. Ti accoglie un ampio cortile interno dai colori neutri, il cui tetto, a vetri, lascia filtrare libera la luce lungo tutta l’altezza dell’edificio. Piazza Paolo Orsi si chiama, un omaggio al celebre archeologo trentino che in tanti modi ha contribuito alla creazione del museo. Una piazza che si anima ad ogni evento e in occasione delle mostre temporanee che la occupano a rotazione. Una piazza che accoglie idealmente le genti e le culture che dalla preistoria alla romanizzazione hanno dato forma e vita alla regione Calabria.

Oggi il Museo Archeologico Nazionale, al cuore del centro storico di Reggio Calabria, tra piazza De Nava da un lato e il lungomare Falcomatà dall’altro, è un buon punto di partenza per vivere la città e scoprirne la storia. Un museo aperto al cittadino con una biblioteca da poco inaugurata con venticinquemila volumi su ambiti che spaziano dall’etnologia alla filosofia greca e latina, passando per numismatica e filologia. Testi rari e volumi preziosi e una sala lettura aperta al pubblico a cui sono dedicati anche stage e tirocini. Infine, uno spazio dedicato ed attrezzato per l’intervento sui reperti al piano seminterrato del museo per il restauro e la conservazione dei reperti.

Centinaia di vetrine su quattro livelli. Dalla street art ante litteram ai Bronzi di Riace e Porticello

Il viaggio inizia circa un milione di anni fa al secondo piano, livello A, Preistoria e Protostoria - Età dei Metalli, con le prime tracce lasciate dall’Homo Erectus e due scheletri sepolti insieme che risalgono al Paleolitico e che sono stati rinvenuti nella Grotta del Romito di Papasidero.

Con loro, i nostri antenati che considereremo guide immaginarie, arriveremo idealmente alla sala in cui sono esposti i Bronzi di Riace, tesoro straordinario e identitario del museo, lungo un percorso con un unico comun denominatore: la cultura e l’identità di una regione attraverso l’espressione e le tracce lasciate dai popoli che hanno concorso a definirla.

Come vivevano, pregavano, amavano, si divertivano, persino come le donne amavano farsi belle. Già al livello A, unguenti e trousse per il trucco, gioielli fatti di conchiglie forate, statuine femminili simbolo di fertilità. E poi le prime ceramiche, lame, punte, spatole. Dietro ogni oggetto vita quotidiana, abitudini, persone che sembrano apparire e raccontare la propria storia grazie ai puntuali e numerosi pannelli esplicativi.

E infine esempi di arte rupestre: segni primordiali, iniziali esempi di espressione di idee e pensieri. Un’incisione del Bos Taurus Primigenius su un masso rinvenuta nella Grotta del Romito di Papasidero il cui calco è esposto al museo.

Le forme e le immagini cambiano scendendo al primo piano, livello B e al piano ammezzato, livello C. Siamo idealmente giunti all’VIII secolo a.C. Nascono e diventano sempre più belle le colonie della Magna Grecia. Sibari e Crotone, le più antiche e poi Medma, oggi Rosarno e Hipponion, l’odierna Vibo Valentia, Caulonia, Locri. Ciascuna con le proprie monete, col simbolo del toro con la testa rivolta all’indietro quella di Sibari; col tripode, simbolo dell’oracolo di Apollo a Delfi quella di Crotone.

Accanto una splendida sezione dedicata al teatro, quella sui santuari con le offerte e i modellini di fiori e frutta e i costumi funerari.

Bellissimi i corredi funerari femminili: un contenitore per profumi con le sembianze di una menade danzante e raffinati specchi in bronzo.

E infine la sezione dedicata a Lucani e Brettii con la Casa del Mosaico del II-I secolo a.C., situata presso l’antica Taureana, oggi Palmi, con un letto in bronzo e un mosaico dalle minuscole tessere policrome che creano una scena di caccia. Due cacciatori a cavallo con giavellotti e uno a piedi, che circondano un orso e tre cani che lo attaccano. Alle spalle un albero e un cinghiale. Occupava il centro della sala, anch’esso a mosaico coi toni del bianco e del nero, interamente realizzato con la tecnica dell’opus vermiculatum: piccole tessere sistemate su un letto di calce a sua volta steso su una lastra di pietra.

Scegline solo tre. Tre tesori all’interno del MArRC

Che la quantità e la qualità di reperti sia notevole è evidente. Centinaia di vetrine disposte su quattro livelli e una storia dietro ogni oggetto. Ad ognuno quello il cui ricordo resterà più vivido e la scoperta più emozionante. Scegliamone tre e partiamo dagli oggetti legati al Santuario di Grotta Caruso, scoperto da Paolo Enrico Arinas nel 1940, vicino Locri.

E’ questo il bello del MArRC: i reperti si animano e raccontano, vasellame e miniature tornano a comporre la coreografia che un tempo era stata ricreata all’interno della grotta per venerare le Ninfe e celebrare i riti iniziatici delle giovani donne locresi prima delle nozze. Immaginate un bacino semicircolare, una struttura di blocchi irregolari a fare da sfondo e un ingegnoso sistema di drenaggio che consentiva il giusto e costante livello dell’acqua e persino zampilli e spruzzi. I doni votivi rinvenuti, modellini in terracotta della grotta e le erme, piccole colonne con le teste delle ninfe poste sopra, completano l’immagine della grotta dentro cui sembra quasi di vedere le fanciulle entrare a passo di danza e scivolare lentamente dentro l’acqua.

La magia torna al piano dedicato al Santuario della Passoliera, scoperto nel 1916 da Paolo Orsi. Colpa di un vigneto, per la costruzione del cui impianto questo splendido santuario vide nuovamente la luce. Siamo a Terzinale, poco lontano dall’antica Kaulonia, tra Monasterace Marina e Punta Stilo. Qui, il grande archeologo identificò il sito i cui resti sono stati disposti nella grande sala in modo da percepirne la maestosità e grandezza di un tempo: i gocciolatoi dalla testa di leone riempiono lo spazio alternando macchie di rosso, nero, argilla.

Per l’ultimo dei tesori scelti occorre tornare al secondo piano ed idealmente all’interno della grotta di Sant’Angelo, cavità carsica alle spalle del moderno abitato di Cassano Jonio. Qui vivevano genti dedite principalmente all’allevamento e alla pastorizia durante il Neolitico e fino alla tarda età del Bronzo. Ce lo raccontano gli oggetti rinvenuti all’interno tra cui particolare importanza hanno alcuni vasi in ceramica. Cosa hanno di speciale? Appena cinque disegni dipinti e incisi sul fondo, segni elementari che sembrano rimandare a oggetti concreti: una spiga di grano, un triangolo, forse in realtà un monte, una croce, una testa di bue e un elemento vegetale. Si tratta di un marchio riconducibile alla proprietà? O a un simbolo magico rituale? Probabilmente resterà un mistero insoluto. Ciò che è certo che si tratta di idee, concetti semplici o forse complessi, resi attraverso il segno, una traccia, una forma di arte primordiale, espressione ed astrazione della cultura di un popolo.

Le star del museo. I Bronzi di Riace

L’emozione e il brivido di vederli in tutta la loro magnificenza sono innegabili. Ci si aspetta di trovarseli davanti, pregustando il momento, chiedendosi se davvero sono così speciali e l’attesa ripagata.

Lo sono. I Bronzi di Riace, rispettivamente un metro e 98 centimetri uno, un metro e 97 l’altro, entrambi posizionati su un supporto d’alta ingegneria per proteggerli in caso di terremoto, sovrastano il visitatore, ne rapiscono l’attenzione, sembrano voler raccontare la loro storia.

Storia che però nessuno conosce. Infinite le supposizioni, migliaia le pubblicazioni, reportage ed interventi di studiosi, poche certezze. Atleti? Divinità? Eroi? Sono stati volutamente gettati in mare, donati alle onde? O quello stesso mare li ha inghiottiti durante un naufragio?

Ce n’erano solo due? E dove stavano andando quando si inabissarono nelle acque a largo della Calabria? Ciò che sembra certa è la loro provenienza, la Grecia e il periodo in cui vennero plasmati con la tecnica della “fusione a cera persa”, il V secolo a.C.

Un mistero senza tempo che incuriosisce anche chi esperto non è e osserva i due capolavori. Bronzo A e Bronzo B li hanno chiamati per distinguerli durante i lunghi lavori di restauro che ancora più belli hanno reso i muscoli possenti, la pelle nera su cui guizzano vene e arterie, l’acconciatura regale coi riccioli perfetti.

Pasta vitrea per l’iride su calcite bianca, pietra rosa per la fossetta lacrimale, rame per labbra, ciglia e capezzoli.

Appena una spalla ne intravide Stefano Mariottini nell’agosto del 1972 nelle acque cristalline di Riace ad appena 300 metri dalla spiaggia e a non più di 10 metri di profondità. Un recupero epocale le cui immagini hanno fatto il giro del mondo e ancora oggi stupiscono per la partecipazione del popolo calabrese che si riversò in spiaggia per ammirare e dare il benvenuto ai Bronzi di Riace venuti dal mare.

Di sorprese e meraviglie il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria ne ha tante ancora da raccontare. Basterebbe accennare ai Bronzi di Porticello o al Kouros. O forse all’antica necropoli che venne alla luce proprio durante la costruzione del museo e che oggi ne fa parte. A voi scegliere i vostri “tesori” del cuore.

Hoi An, la città delle lanterne

Anche stavolta c’entra un drago. Un drago enorme che viveva sotto la crosta terrestre e che, ad ogni colpo di coda, generava terribili terremoti in Giappone. Fu questo che i saggi dissero all’imperatore giapponese, sostenendo che l’unico modo di fermare la bestia fosse colpirlo al cuore. Ma dove stava il cuore? I saggi individuarono la testa dell’animale in Thailandia ed il suo cuore nella cittadina di Hoi An in Vietnam.

E fu così che proprio ad Hoi An l’imperatore fece costruire un ponte coperto dalle profonde fondamenta che trafissero il drago al cuore. O forse no. Ciò che è certo è che il Ponte Giapponese costruito intorno al 1590 è ancora lì ed è oggi il simbolo della città.

Mi piace pensare alle due scimmie e ai due cani ad un capo e all’altro del ponte come le guide immaginarie del mio viaggio in questo elegante e pittoresco centro vietnamita, Patrimonio dell’Umanità miracolosamente scampato a guerra e distruzione.

Lo si gira a piedi, o al massimo in riscio o in bici, curiosando tra più di 800 edifici storici, oggi per lo più abitazioni e boutique hotel, cafè, lounge bar e ristoranti di ogni tipo. I vincoli per eventuali ristrutturazioni sono rigidi ed è facile notare sopra l’ingresso di botteghe e gallerie d’arte “gli occhi della porta”, un simbolo contro disgrazie e malanni. I tetti seguono spesso l’architettura tradizionale con le tegole concave e convesse alternate su cui crescono muschi e licheni di un bel verde acceso durante la stagione delle piogge.

Ci sono poi diciotto edifici antichi aperti al pubblico: templi e pagode cinesi, laboratori artigianali, case di mercanti giapponesi, le hoi quan, o sale riunioni delle diverse comunità che nel XV secolo vivevano e commerciavano qui. Un tempo uno dei principali porti del sud-est asiatico, Hoi An era un allegro melting pot frequentato da portoghesi, olandesi, indiani, filippini, inglesi, francesi, thailandesi e indonesiani. Passavano tutti da qui per vendere e comprare sete e porcellane, madreperle e lacche.

Acquistando un biglietto cumulativo da 120.000 dong, circa 5 euro, potrete scegliere cinque edifici per volta. Io ho scelto la Casa di Tan Ky e la Sala Riunioni della Congregazione Cinese del Fujian. Bella anche la Casa di Phung Hung e il Tempio di Quan Cong. In realtà ogni sito è uno scoperta e avrei voluto avere più tempo per vederli tutti.

Di sera è il fiume su cui la cittadina si affaccia a diventare protagonista: centinaia di barche lo attraversano illuminate da lanterne colorate, icona di Hoi An. Migliaia di luci blu, verdi, rosse e magenta danzano come sospese nell’acqua alternandosi alla luce flebile delle candele che i visitatori lasciano andare lungo il fiume. Ad ogni plenilunio la festa si accende con laboratori e spettacoli che rendono l’antica Faifo indimenticabile.

Dove dormire e mangiare ad Hoi An

Un intero articolo su viaggimperfetti l’ho dedicato al cibo in Vietnam: in larga parte si parla di Hoi An e delle sue specialità, tra le migliori provate nel corso del mio viaggio in questo paese. Mercati e ristoranti si trasformano in un viaggio nel viaggio.

E se siete amanti dello street food, la cittadina al calar della sera si popola di banchi e carretti con cibo locale: polpo e calamari arrosto, crepes di gamberi, torta di mango, latte di cocco.

Dove ho soggiornato? All’Eco Lodge & Spa, a pochi chilometri dal centro storico, nel verde rigoglioso delle risaie che circondano la città. Un paradiso dallo stile coloniale ed ecofriendly: tutte le comodità, una piscina, un centro spa collegato alla struttura principale da un sistema di passerelle in bambu che attraversano una foresta di piante locali. Speciale il laghetto su cui si affaccia l’area ristorante.

L’Eco Lodge offre un servizio navetta per raggiungere la città antica o, se preferite, la spiaggia di An Bang, sulla costa a nord di Hoi An. Lo staff organizzerà ogni tipo di escursione per scoprire i dintorni o partecipare ad una cooking class.

Vorrei portare via con me qualcosa di speciale che mi ricordi Hoi An

Sofisticati atelier di linee francesi, sartorie che in poche ore realizzeranno per voi un Ao Dai su misura, il vestito tradizionale vietnamita, preziose lanterne artigianali, ogni tipo di souvenir ai mercati, imitazioni e paccotiglia così come in tutto il sud est asiatico. A Hoi An ce n’è per tutti i gusti.

Io vi consiglio Lotus Leaf, bottega e laboratorio. Stare a guardare l’artista che crea con materiali semplici libellule e delicati fiori di loto su raffinate tazze, bracciali e fermagli vale da sè il viaggio e un ricordo indimenticabile del Vietnam.

Durazzo Istanbul. In bici, con loro, migliaia di bimbi

Ci risiamo. Dino e Marco sono pronti per una nuova avventura. Ve li ricordate sulle strade sterrate del Portogallo nel loro viaggio in bici da Lisbona a Santiago de Compostela?
Nove giorni, 750 chilometri in mountain bike con Saro che stavolta è rimasto a casa. Fatima, Coimbra, Porto, tanti siti minori e nuovi amici lungo un percorso che a noi, rimasti a casa, ha emozionato e divertito anche quando, a fine serata, ci salutavano stanchi e sudati.
Stavolta il punto di partenza è Durazzo in Albania. Taglieranno il paese interamente, oltrepasseranno la parte alta della Grecia continentale per raggiungere il nuovo obiettivo: Istanbul, l’antica Bisanzio, centro nevralgico dell’Impero Ottomano, cuore della rivoluzione di Ataturk ed epicentro di grandi cambiamenti che da anni caratterizzano tutta la Turchia.
13 giorni pieni di pedalate e più di 1000 chilometri da conquistare.
E per la Durazzo - Istanbul c’è una novità, anzi un valore aggiunto all’idea di viaggio che entrambi hanno: Marco e Dino hanno aderito ad una raccolta fondi promossa dalla Street Child, organizzazione no profit con sede principale a Londra che da anni aiuta i bambini in difficoltà a crescere, studiare, costruire un futuro. Lo fa con la raccolta di fondi, i programmi di volontariato e l’organizzazione di eventi locali. Street Child UK, ha iniziato la sua attività in Sierra Leone nel 2008 lavorando con un piccolo numero di bambini di strada. Ad oggi, ha contribuito a trasformare la vita di centinaia di migliaia di bambini in Sierra Leone, Liberia, Nepal e Nigeria.
Che dite, gliela diamo una mano anche noi?
Eccovi il link alla pagina Street Child legata al viaggio Durazzo - Istanbul.
Una richiesta speciale a Dino e Marco, legata ad una sorta di rito scaramantico che ha caratterizzato il viaggio in Portogallo. Ad ogni tappa, le immagini che i ragazzi ci regalavano iniziavano con un sonoro “Ciao Benedettaaaaa!”. Che dire, ci tengo. Aspetto il primo piccione viaggiatore da Durazzo!

 

 

#viaggimperfetti #DurazzoIstanbul
Hanno già iniziato a pedalare! Prima tappa Durazzo - Gramsci in Albania. Eccoli carichi ed emozionati con un messaggio importante: questa avventura è ispirata a Street Child l’organizzazione no profit che aiuta migliaia di bimbi nel mondo a crescere, studiare, sognare. Date un’occhiata alla pagina creata da Dino e Marco per aiutare a raccogliere fondi per loro. ” Stop, think, plan, do, be great”, scrivono. “Fermatevi, pensate, fate, siate grandi”. Anche in sella ad una bici.
Li aiutiamo anche noi?
#sfidebuone #tuttinsella

24 aprile 2019

Una tappa semplice (si fa per dire…più di 80 km) superando campi di grano e prati di papaveri. Marco e Dino hanno raggiunto Salonicco, seconda città greca dopo Atene, un mix di storia millenaria e spirito cosmopolita con un centro dinamico e allegro. Una torre quattrocentesca simbolo della città, antiche mura e poi finalmente il mare…E che tramonto ragazzi!
Ma chi è quel matto che pulisce i vetri?
Un consiglio: attenti ai Poo Ninjas!

 

 

25 aprile 2019

Ho guardato e riguardato i video che Marco e Dino mi hanno mandato ieri chiedendomi perché fossero più pazzi del solito…

L’ho capito quando mi hanno presentato i nuovi amici conosciuti in un bar lungo il cammino: dopo la capra a colazione a Gramsci il giorno di Pasqua, una sosta “allegra” a base di un liquore locale dal nome impronunciabile che i gestori del locale hanno offerto ai ragazzi regalandogliene una piccola “scorta” in caso di bisogno!

Ma come si chiamano sti laghi alla fine della tappa?😂😂😂

#nuoviamici #chebellalavita

 

26 aprile 2019

Ebbene sì, hanno mandato per aria programmi e calendari e hanno interrotto la tappa fermandosi a Kavala.
Mare cristallino, profumo di primavera, voglia di una pausa. Date un’occhiata alle foto e ditemi: “Secondo voi, hanno fatto la scelta giusta?”.
A volte sono gli imprevisti e i fuori programma a rendere l’avventura indimenticabile…

 

27 aprile 2019
Pausa terminata! Dino e Marco non hanno resistito ai paesaggi attorno Kavala in #Grecia e hanno fatto uno stop imprevisto. Recuperate le forze sono pronti a partire e a coprire velocemente i chilometri persi… o no???
Eccoli in modalità decisamente “slow” diretti al Parco Nazionale della Macedonia Orientale. Quando arriveranno? Non si sa!
📌Nel frattempo ascoltateli e mi raccomando: “se” vi va, fate la vostra donazione a Street Child!

 

28 aprile 2019

 

Doppia Pasqua per Dino e Marco quest’anno! I ragazzi hanno festeggiato la Pasqua cristiana in Albania e quella ortodossa macinando gli ultimi chilometri in Grecia. Un paese che li ha ospitati e coccolati in scenari da cartolina. Cosa ricorderanno delle tappe greche? Il cuore grande della gente: il proprietario di un pub che il giorno di Pasqua ha aperto solo per offrire loro la cena, una fetta di torta condivisa in un campo di fiori gialli con una mamma e le sue figlie, le uova colorate di rosso,in dono dal gestore di un ostello, simbolo della Pasqua ortodossa e del sacrificio di Cristo il cui guscio non si butta via ma si riconsegna alla terra, sotto le radici degli alberi.
Facciamo anche noi un regalo a Dino e Marco e a tutti i bimbi sostenuti da Street Child?
Doniamo qualche monetina per regalare un sorriso e istruzione ai bambini meno fortunati nel mondo…

I° maggio 2019

È ufficiale, ce l’hanno fatta. Marco e Dino sono ad #Istanbul. Stanchi, emozionati e col naso all’insù nel cuore dell’antica Costantinopoli .

Più di 1000 km pedalando, tre nazioni diverse, un’amicizia fraterna oggi ancora più forte, 541.03 euro raccolti per donare con Street Child sorrisi ed istruzione ai bambini nel mondo meno fortunati.

Un grazie grande va a Dino e Marco per avere lanciato questa raccolta, un ulteriore grazie va a tutti noi per aver partecipato. In fondo, è un po’ come se avessimo macinato qualche metro anche noi e a #Istanbul fossimo entrati con questi due matti…
Ci avete emozionato, divertito, a volte fatto ridere a crepapelle. Che dire, mandateci ancora qualche immagine di questa città così speciale e mi raccomando, il rigoroso “Ciao Benedettaaaa”!

Mangiare in Vietnam. Dammi tre parole

 

 

Freschezza, bellezza, equilibrio. Bastano tre parole per cominciare a scoprire una cucina raffinata ma allo stesso tempo semplice, quasi casalinga. Avevo letto ovunque che il cibo in Vietnam conquista e stupisce ma, si sa, quando viaggi, spesso capita di non trovare il posto “giusto” e di finire, ahimè, nelle classiche trappole per turisti.

Ecco, in Vietnam, per finirci ti ci devi proprio mettere d’impegno perché ovunque, in strada così come negli innumerevoli piccoli o grandi ristoranti, gli elementi chiave sono le materie prime e l’utilizzo di ingredienti locali e stagionali. Da nord a sud il Vietnam offre infinite varietà di frutta e verdure, il paradiso per una come me che, anche se non vegetariana, ama accompagnare sempre il pasto con la verdura. E gironzolando qui e lì nel nostro magnifico mondo, non è comune trovare “a portata di viaggiatore” una così ampia gamma di soluzioni cotte al vapore, fritte, grigliate o semplicemente bollite.

In Vietnam la verdura incontra spesso la frutta e i fiori creando combinazioni inedite di sapori e consistenze. Germogli di erba cipollina e boccioli di fiori di gelsomino tonkin sono deliziosi anche bolliti; se saltati in padella con chips d’aglio essiccato rendono carne e pesce speciali. Nelle insalate ho scoperto il gusto quasi amaro del fiore di banano tagliato in listarelle sottilissime, quello fresco e croccante della papaya verde, e ancora quello succoso e dolce del pomelo, una sorta di pompelmo. I fiori di loto generalmente serviti in insalata li ho provati fritti…niente male. E poi frutti della passione, dell’albero del pane e del drago, guava, mango, litchi, longan e rambutan. Accanto ai banchi di frutta, con ananas e mango già tagliati e porzionati dai venditori ambulanti troverete spesso delle micro bustine contenenti un mix di sale, zucchero, pepe ed altre spezie per insaporire la frutta. Provateci: è un’esplosione di gusto in bocca.

A frutta e verdura aggiungete spezie e odori: zenzero, curcuma, il profumatissimo pepe nero qui coltivato e poi la perilla, il basilico cinese e il rau om, un’erba di risaia che sa di limone e cumino, tanto coriandolo, cannella e persino anice stellato.

Immancabile sulla tavola una ciotolina di nuoc mam, salsa di pesce fermentato; così come di mam tom, pasta di pesce salato e fermentato. Le varietà sono infinite e presenti in ogni mercato che si rispetti. Guardato con sospetto da molti occidentali per colore e soprattutto odore è un must in Oriente e tutto sommato non così lontano dalle nostre tradizioni. Ricordate il garum? E se proprio di nuoc mam non volete sentir parlare, soia, tamarindo e lime vi aiuteranno a trovare la giusta combinazione.

Ai vietnamiti piace “arrotolare” il cibo e di involtini ce ne sono tante varianti. I più semplici sono quelli di carta di riso semplicemente ammorbidita con acqua e dentro lattuga, cetriolo, noodles e gamberetti; se preferite tofu. Da intingere nella salsa di pesce o in quella di fagioli. Se fritti, sono i noti spring rolls. Ci sono poi quelli di verdura alla griglia o di noodles al vapore. E infine i banh xeo, crepes morbide di farina di riso con gamberi, maiale e verdura fresca, di solito germogli di soia o foglie di crescione e senape.

 

 

I classici in Vietnam

Non vi racconterò nulla di nuovo perché Vietnam sta a bahn mi come cacio e pepe a Roma: il celebre panino di francese memoria lo trovate ovunque da nord a sud ed è buono ed economico con maiale, pollo o solo patè, un po’ di maionese e tanta verdura fresca. Vi lascio però un indirizzo che val la pena di annotare, Banh Mi Phuong a Hoi An. Appena fuori il centro pedonale, non è nulla di più che una bottega con qualche tavolo ma le baguette che arrivano di continuo dal forno accanto, calde e croccanti sono le più buone che io abbia mangiato. Mettetevi in fila (inevitabile a tutte le ore) e scegliete il vostro ripieno.

Un altro classico è il pho, una zuppa di manzo e noodles di riso dove a fare la differenza è il brodo fatto bollire a lungo. Chiedere la ricetta e scoprire quella autentica è come trovare i veri ed unici ingredienti di ragu e amatriciana: gli aggiustamenti e i “segreti” del cuoco sono infiniti.

Passiamo al bun cha, popolare cibo da strada a base di fettine e polpette di maiale cotte alla brace, noodles di riso, verdure fresche ed erbe aromatiche. Facile che troviate, come spesso accade, ristoranti o bancarelle specializzate in bun cha. Celebri sono le immagini di Obama che scopre il piatto con Bourdain ad Hanoi. Io l’ho provato proprio nella capitale da Bun Cha Ta in Nguyen Huu Huan Street nel Quartiere Vecchio, un simpatico ritrovo su più piani dove Jing mi ha spiegato come mangiarlo immergendo nel brodo lentamente verdure e noodles. Per cenare ai piani superiori ci si toglie le scarpe…

La rose blanche o banh vac è una specialità di Hoi An, un raviolo al vapore. La pasta esterna delicata e quasi trasparente rivela il ripieno di gamberetti e viene servito con cipolle croccanti. Un secondo tipo di raviolo è il banh bao ripieno di carne tritata di maiale o pollo, uova e funghi. Amici del dim sum cinese non perdete queste pietanze e se potete, gustatele al mercato coperto di Hoi An a pranzo. Nel caos ordinato del mercato, tra pile colorate di frutta e verdura, pesce e pasta ad essiccare, c’è un’area dove, uno dopo l’altro, si susseguono banchetti con specialità diverse in bella mostra. Ho scelto a naso e, devo dire, continuo ad averne nostalgia. Una delle specialità migliori che io abbia assaggiato in Vietnam.

La banh chung, torta di riso avvolta nelle foglie del banano con il ripieno di carne è un classico del periodo del TET, il capodanno vietnamita, un periodo di luce e colore per il Vietnam di cui abbiamo parlato altrove.

C’è poi un dolcetto tipico di Hai Duong scoperto in viaggio verso la Baia di Ha Long e a quanto pare molto apprezzato. E’ la banh dau xanh, la torta di fagioli mung, zucchero, olio di pomelo, spesso porzionata in mini quadrati confezionati singolarmente. Un pò allappante ma tutto sommato gradevole.

 

 

I miei indirizzi. Dove vi consiglio di cenare in Vietnam

Ho Chi Minh – Secret Cottage Cafe Dining & Boutique, 12-14 Nguyen Thiep Ben Nghe Ward District 1. No, non vi siete sbagliati. Per arrivare qui occorre superare una bottega di cesti e borsette di paglia. Al primo piano c’è questa meraviglia dove industrial design e pezzi d’arredo antico oriente si alternano armoniosamente. Cucina vietnamita presentata in modo impeccabile su stoviglie bianche e blu che potete acquistare. E se c’è da aspettare fate come me, approfittatene per un aperitivo che sa di storia al nono piano del Caravelle dietro l’angolo.

Ho Chi Minh City – Den Long. Home Cooked Vietnamese Restaurant, 130 Nguyen Trai District 1. In una delle strade caotiche e affollate della città, è un’oasi allegra e colorata. Provate l’insalata di gamberi e pomelo servita dentro al frutto. É super. Ottima anche la birra artigianale di un birrificio locale. Provata e promossa la Saigon Rosè, aroma floreale.

Hoi An - Hai San Seafood Restaurant, 64 Bach Dang Street Minh An Ward. Pesce delizioso ed abbondante in un ristorante semplice e spartano lungo il Fiume dei Profumi scelto per caso. Pesce cotto dentro foglie di banano e zuppa di vongole con una birra locale ghiacciata. Se ci riuscite, scegliete il tavolo sistemato fuori. Avrete un posto in prima fila allo spettacolo delle barche locali illuminate dalle famose lanterne colorate che vi sfilano davanti mentre arriva l’alta marea e l’acqua deborda sul marciapiede. Uno dei momenti più belli del mio Vietnam.

Hanoi Essence Restaurant, 22 Ta Hien, Old Quartier. All’interno dell’omonimo albergo, nel Quartiere Vecchio di Hanoi. Ottimo il cibo, molto curata la presentazione del piatto. L’insalata di papaya dispiaceva mangiarla!

Hue – Les Jardins de la Carambole, 32 Dang Tran Con. Un ristorante francese vietnamita in una villa dal fascino coloniale nei vicoli del quartiere della Cittadella. Splendide foto in bianco e nero, grandi ventilatori e arredi da vecchia Indocina. Si può scegliere à la carte o tra alcuni menu suggeriti. Provati e promossi i menu Badiane e Citadelle.

 

 

Sciacca. Casa dell’Aromatario

Un antico stabile un tempo stretto tra due chiese. La dimora di uno speziale del 700, Franciscus Carusello Sconduto, che oggi continua a profumare di basilico, menta, citronella. E’ il b&b Casa dell’Aromatario, un indirizzo prezioso da tenere a mente se desiderate dormire nel cuore di Sciacca, nell’antico quartiere della Cadda.
Toni dell’azzurro cipria e del celeste per l’intero edificio, interamente ristrutturato e trasformato in una struttura raffinata ed accogliente, aromi della tradizione siciliana per i nomi delle cinque stanze, due terrazze sui tetti e il mare di Sciacca, da cui ci si affaccia sulla chiesa di San Francesco di Paola, l’unica rimasta. L’altra, la chiesa di Santa Lucia, è andata distrutta.

 

Basterebbe già questo a rendere speciale Casa dell’Aromatario. Ciò che lo trasforma in viaggio nel viaggio è la ricerca dietro la sua realizzazione e nel racconto che ne è stato fatto attraverso lo studio della sua storia.
A partire dal simbolo scelto per rappresentarlo, il giglio fiorentino, il cui rizoma, la radice dalle indiscusse proprietà officinali, non poteva mancare nel laboratorio di un bravo speziale dell’epoca. E poi ancora con i frammenti di antiche ceramiche siciliane recuperate e trasformate in panchine.

 

Il viaggio prosegue nella sala dove viene servita la colazione. “Qui c’era solo materiale di risulta”, mi racconta Silvio, il proprietario. Che lui e il fratello hanno pazientemente eliminato strato dopo strato riportando alla luce quello che sembra a tutti gli effetti essere un antico granaio, con pozzi e canali per il deposito ed il trasferimento del grano. Vuoi mettere un soggiorno in un posto così?

Cambio vita, si può fare. Col cuore in Africa e una reflex al collo

Larsbreen Glacier. Norvegia Svalbard Island - Longyearbyen
Larsbreen Glacier. Norvegia Svalbard Island - Longyearbyen
La Rupe dei Re.Tanzania, Serengeti National Park
La Rupe dei Re.Tanzania, Serengeti National Park

Quante volte ci siamo detti “mollo tutto”? Quante volte abbiamo pensato “cambio vita, vado a vivere all’altro lato del mondo”?

Questa è la storia di Francesca Bullet, una che non è andata a vivere all’altro capo del mondo, piuttosto una tipa ben radicata nella sua città, Velletri, e ai suoi amori, le due figlie e un compagno.

Donna, artista, giramondo. Ci siamo conosciute per caso, sui social, forse percependo l’una dell’altra affinità e una grande passione in comune: il desiderio di andare, scoprire, sentire.

Francesca viaggia da una vita - l’elenco dei luoghi visitati è imbarazzante – e lo fa coltivando l’amore per la fotografia. Quello che inizialmente è un hobby si trasforma in arte. Francesca continua a specializzarsi e a studiare, raggiungendo professionalità e preparazione. Lo fa vivendo una vita normale, un lavoro in banca, più di trent’anni spesi nel settore della formazione del personale e del marketing. E lo fa alternando lunghe ore alla scrivania e viaggi indimenticabili accanto alle persone che ama e con una reflex al collo.

Francesca quando hai capito che era arrivato il momento di dare una direzione diversa alla tua vita? In che modo hai maturato la scelta di lasciare il tuo lavoro e dedicarti alla tua passione?

Forse l’ho sempre sentito dentro di me, ma poi i fatti della vita, quelli che ti cambiano le priorità, hanno accelerato questa decisione. Ho viaggiato tanto per migliorare me stessa, cercando di crescere confrontandomi con tutto ciò che era diverso da me, assetata di conoscenza e malata di fotografia; quando la situazione lavorativa in banca era diventata una prigione, ho deciso di riprendere in mano il mio futuro e quello che avevo nel mio zaino personale, è diventato quello su cui investire. Sto mettendo a frutto tutte le cose buone che ho accumulato in 32 anni di lavoro nel marketing, nella formazione, l’esperienza nel settore commerciale e ovviamente tutto ciò che riguarda la fotografica e ho cominciato un nuovo percorso di vita, tutto qui.

African sky. Namibia, Naukluft National Park
African sky. Namibia, Naukluft National Park

Oggi Francesca accompagna viaggi che sono anche corsi di fotografia sul campo. Chi partecipa ai suoi tour, sa di poter contare su un’organizzazione con tre specialisti: un tour operator locale per tutto ciò che riguarda la logistica e i trasferimenti, su una guida professionale, in grado di far conoscere ed amare il Paese e su una fotografa professionista che aiuta il viaggiatore a trasformare emozioni in splendide immagini. Inoltre, i suoi scatti diventano mostre, le immagini da lei firmate vengono selezionate e premiate.

E’ trascorso un anno da quando ti sei lanciata e mi chiedo: non hai avuto paura? Paura di fare una stupidaggine, di non poter tornare indietro? Quanto conta il parere degli altri?

Certo che ho avuto paura e ne ho ancora. Passare da un lavoro che ogni mese ti garantisce una bella scrivania e uno stipendio sicuro ad uno che non ti garantisce nulla, con due figlie a casa… tanti dubbi, tante incertezze. Poi ho guardato dentro di me, ho pensato che tornare a casa la sera, amareggiata e delusa della giornata non mi avrebbe certamente fatto essere un esempio per le mie ragazze. Oggi ti confesso ho solo un rimpianto, non averlo fatto prima. Ho 51 anni ma l’energia e la voglia di fare sono quelle di una ventenne. Il parere degli altri mi chiedi? Conta anche quello, quando è costruttivo e intelligente, quando arricchisce la mente e porta al ragionamento.

 

Francesca è una che non dice tanto di sé. Sui social della sua vita privata c’è poco ed è una cosa che apprezzo molto. Lei racconta “con la luce”: le sue foto parlano di lei, di cosa cerca, cosa vuole. Un’attenzione evidente per chi le sta di fronte di cui riesce a catturare animo e umore, il bisogno di abbracciare spazi sconfinati, la natura selvaggia del Grande Nord, deserti e parchi africani. Ho quindi quasi paura a chiederle dei suoi affetti più intimi…

Mi hai parlato di due figlie che adori…come hanno reagito alla tua scelta?

Le figlie hanno condiviso con me le scelte fatte, sono grandi, hanno 16 e 18 anni e sono più viaggiatrici di me. Alice è una linguista e ha già passato un anno all’estero per imparare l’inglese e Chiara è un’artista, frequenta il terzo anno del liceo artistico con ottimo profitto. Il mio compagno di vita poi è stato il mio primo fan, è stato lui che mi ha aiutata a guardarmi dentro, ha liberato il mio spirito wild e questo ci ha uniti ancora di più.

E visto che ci siamo, hai voglia di dirci cosa significa rinunciare ad un’entrata fissa per una che non lo è?

Significa imparare a non dare nulla per scontato, con la consapevolezza che le delusioni fanno parte del gioco. Significa dover dimostrare tutti i giorni della tua vita cosa sai fare. Significa non fermarsi mai. Significa anche rinunciare a quello che è frivolo, che un tempo ti concedevi e che ora è superfluo. Significa voler fare questo lavoro con tutta la tua volontà ed il tuo impegno, nutrendo la passione per la fotografia e i viaggi ogni giorno e ad ogni incontro con persone nuove. E’ una bella sfida, ma le sfide mi piacciono così come la vita che ho scelto.

Trapper's Station. Norvegia Svalbard Island - Longyearbyen
Trapper’s Station. Norvegia Svalbard Island - Longyearbyen

Tra gli scatti che trovo più emozionanti ci sono quelli alle donne Himba. Narrazione dei costumi, dettagli puntuali di storia e tradizione ma soprattutto il ritratto di donne come me e te. Quanto e in cosa è diverso se a voler fare questo tipo di lavoro e questo tipo di vita è una donna?

Secondo me è un vantaggio sai… l’Africa è un Paese dove la sensibilità femminile si esalta. Mi parlavi delle donne Himba ad esempio, nei villaggi, quando si entra nel recinto (così si chiama la zona in cui sono costruite le loro dimore) si incontrano soprattutto donne e bambini, perché gli uomini durante il giorno sono al pascolo con le greggi. Generalmente si crea un immediato sodalizio tra noi, anche perché devi sapere che gli Himba hanno una gerarchia matriarcale e le donne hanno in mano le principali decisioni sulla vita del villaggio. Sono sempre accolta con delicatezza e spesso mi ritrovo in un abbraccio collettivo, che rigenera l’anima e con i vestiti che intrisi di grasso e ocra sono praticamente da buttare.

Himba - Namibia - Kaokaland
Himba - Namibia - Kaokaland

Mi hai parlato dei tuoi viaggi in Sud Africa, Kenya, Botswana, Zambia, Madagascar, Tanzania, Namibia. Ci regali un momento della tua Africa? Stavolta a parole!

I momenti speciali sono difficili da raccontare, anche perché toccano la sensibilità individuale ma ci proverò. Ti voglio parlare di cosa provo ogni volta che cammino sulle creste del Namib Desert. Devi sapere che il Namib è il deserto più antico del mondo, arrugginito come lo definisco io, che sa cantare. Hai capito bene, il Namib Desert è un deserto che canta. Ogni volta che il piede affonda nella sabbia rossa, i piccoli sassolini che la compongono stridono tra loro e producono un suono che ricorda quello di un oboe…hai presente lo strumento musicale? Ecco, per me camminare sulla cresta delle dune, guardando l’immensità di questo paesaggio surreale e ascoltare il canto del deserto è un’emozione indescrivibile.

Big Dady. Namibia - Namib Desert
Big Dady. Namibia - Namib Desert

Dai deserti infuocati ai ghiacci perenni. Islanda, Norvegia, le Svalbard e le Lofoten. Come si affronta un viaggio in luoghi così estremi?

Non è poi così difficile, basta un minimo di preparazione nell’abbigliamento che certamente dovrà essere adeguato alle temperature e un minimo di studio sulle cose fondamentali da visitare e sui comportamenti da tenere, prima di partire. Quest’ultimo consiglio vale per tutti i posti del mondo e aiuta i viaggiatori a non trovarsi impreparati sia nei comportamenti sia nella scelta dei luoghi da prediligere nelle visite.

Altro discorso dobbiamo affrontarlo per quanto riguarda la preparazione fotografica. Quale attrezzatura portare e quali obiettivi mettere in valigia, condizioneranno molto i nostri reportage fotografici, che rappresenteranno un indelebile ricordo dei nostri momenti più belli di viaggio. Proprio con questa consapevolezza, tutta l’assistenza ai miei viaggiatori, comincia molto prima di partire, attraverso piccoli consigli pratici su cosa mettere in valigia e su come preparare lo zaino fotografico; dall’abbigliamento all’attrezzatura da portare, da qualche piccolo cenno sui luoghi che visiteranno agli usi e costumi dei popoli che incontreranno.

Solo piccoli gruppi e i migliori tour operator locali. Ci dici come avere più dettagli sui tuoi tour? Quali sono i prossimi appuntamenti in calendario?

Viaggiare in pochi aiuta a godersi il viaggio, è una filosofia fondamentale per me. Le persone spendono i loro risparmi ed è giusto che abbiano un viaggio straordinario, che porteranno nei loro cuori per sempre. I Tour Operator con cui collaboro sono tutti locali e sono ritenuti degli specialisti del Paese visitato. Ho scelto di collaborare con loro (e per mia fortuna mi hanno dato fiducia) avendoli prima sperimentati come turista, quindi so come lavorano e quanto siano bravi nel loro mestiere. I miei tour sono disponibili sul mio sito www.viaggiareconlafotografia.com, sul mio profilo Facebook o sull’accout Twitter “PhotoViaggi con Francesca Bullet”. In calendario ci sono dei viaggi fotografici bellissimi: dal 21 al 28 giugno andremo in Tanzania per vedere la grande migrazione degli gnu e delle zebre nel Serengeti. A seguire tanta Namibia per due tour, dal 21 luglio all’1 agosto e dal 3 al 14 agosto. A settembre due tour, il primo toccherà 3 stati Zimbabwe, Botswana e Namibia e si svolgerà tutto sui grandi fiumi, dallo Zambesi con le Cascate Vittoria, al Chobe, al delta dell’Okavango. A seguire nella seconda parte di settembre Namibia del Sud e Sudafrica per vedere la grande fioritura del deserto, che solo in questo periodo regala scenari tanto unici quanto fugaci. Ad ottobre stiamo organizzando per andare a fotografare l’aurora in Lapponia. Vedremo cos’altro mettere in agenda, le idee sono tante, bisogna riuscire a rendere reali i sogni.

 

Francesca, in questi giorni si parla tanto di ambiente. Greta, una giovane donna di appena 16 anni è riuscita con i suoi Fridays for future a accendere i riflettori su come stiamo distruggendo il pianeta e su quanto sia importante fare qualcosa. Le tue foto sono un inno alla natura, ancora incontaminata e autentica. Cosa ne pensi ?

La coscienza ambientale è sempre più al centro dei dibattiti e nella sensibilità, dei giovani soprattutto per fortuna, i quali stanno iniziando un percorso di avvicinamento alla natura, stanno cominciando a capire che molti comportamenti vanno corretti. Bisognerebbe che ognuno facesse qualche immediato passo verso l’ambiente nel quotidiano. Non è più tollerabile produrre smisurate quantità di plastica, così come non è più tollerabile consentire il commercio dell’avorio e delle pellicce. I social aiutano in questo, tutti possiamo vedere quanti danni vengono prodotti dall’uomo sulla natura. Così come dice Greta, i “grandi uomini” della terra debbono tutelare gli interessi del pianeta, questa deve essere una delle loro principali missioni. Io mi impegno a raccontare quanto meravigliosa e fragile sia la natura, sperando di suscitare un sentimento positivo, che tocchi la sensibilità delle persone, che faccia venir voglia di vedere, con i propri occhi, quanto meraviglioso sia questo nostro Pianeta.

Ad un anno dal tuo “cambio vita”, riflessioni maturate? Cosa consiglieresti a chi come te desidera realizzare un progetto simile?

Ad un anno dal cambiamento ho rafforzato delle convinzioni Benedetta, sono sempre più convinta che bisogna essere sempre se stessi e che bisogna studiare tanto per migliorarsi.

Alla base di tutto ci devono essere competenze e capacità relazionali. Il mio bagaglio di esperienze passate è stato un trampolino necessario per avviare questa attività, che per quanto appaia “raggiungibile” richiede grandissimo impegno e dedizione, nonché tanta passione e pazienza.

Direi a chi volesse iniziare un progetto simile di avere coraggio, di metterci la faccia e di divertirsi perché quello che trasmetterete agli altri è quello che provate dentro di voi.

Buona luce a tutti!

 

—Tutte le foto sono state gentilmente concesse da Francesca Bullet e sono soggette a copyright.